«Fare il vino mi ha reso libera»
«Avevo bisogno di essere libera». Marinella Camerani è una delle poche donne che producono Amarone della Valpolicella. La sua azienda è Corte Sant’Alda, a Mezzane di Sotto, in provincia di Verona. Parla di se stessa come di una «artigiana, una donna del Rinascimento» che si occupa della trasformazione dell’uva in vino.Anche Roger Scruton, filosofo di Oxford e autore del saggio «Bevo dunque sono», chiama questa attività «alto artigianato», «il cui risultato è, in una certa misura, un tributo non solo all’abilità del coltivatore e del vinificatore ma all’intero processo etologico che ci ha trasformati da cacciatori e raccoglitori in agricoltori».
Nella Valpolicella ci sono 7.435 ettari vitati: secondo Assoenologi, valgono 4 miliardi di euro. Si producono 60 milioni di bottiglie, 8 su 10 sono inviate all’estero, con un incasso di 550 milioni di euro. Un mondo ricco e soprattutto, sostiene Marinella, maschile. Ci sono donne note come Marilisa Allegrini e Nadia Zenato, altre emergenti come Camilla Rossi Chauvenet di Massimago, altre ancora che hanno scelto il biologico come Cecilia Trucchi di Villa Bellini e Maddalena (con Emilio e Graziella) Pasqua della Musella. «Ma non facciamo gruppo — spiega Marinella — nella Valpolicella, come nel resto d’Italia, abbiamo la capacità di dividerci sulle sciocchezze».
«Siamo l’unica cantina biodinamica certificata (Demeter) nella Valpolicella — dice orgogliosa —. Oltre all’Amarone, produciamo Ripasso, Recioto, Valpolicella e Soave».
«Cercavo la libertà nel rapporto con la natura. All’inizio vagavo nel buio, poi ho pensato al Rinascimento, ho pensato a quei valori, al tenere assieme il lavoro manuale e il pensiero: mi sono sentita una donna di quell’epoca. Ho subito deciso che non potevo non produrre Amarone – racconta – ma volevo farlo raccontando la terra su cui mi trovo e soprattutto allontanandomi dalle mode. Ho scelto botti grandi e l’appassimento naturale delle uve, senza forzature meccaniche, solo l’aria della Valpolicella».