INTRAVINO: Il Post e l’agricoltura biodinamica. Cronaca di una storia che non abbiamo scritto, salvo ripensamenti

La settimana scorsa Il Post ha chiuso, a modo suo, il dibattito sui vini biodinamici. Nelpezzo titolato “L’agricoltura biodinamica è una cosa seria?” (e già il titolo da solo era una discreta calamita), il passaggio che ci rileva è, esattamente, questo qui:

«Molti produttori di vino biodinamico sostengono che il sapore dei loro prodotti è cambiato da quando hanno iniziato ad utilizzare i metodi di Steiner, ma per definizione ogni annata di vino – biodinamico o meno – è differente dall’altra. Che sia più o meno buona è, in genere, una questione di gusti personali».

E basta. Fine del dibattito. Beh, è stato facile, no? In fondo questa liquidazione un po’ sommaria del mega dibattitone nel quale ci arrotoliamo da anni ha svariati punti di fascinazione: per esempio ci svela (per la millesima volta) che fuori dal nostro fazzoletto di orto quasi nessuno ama dilungarsi in distinguo estenuanti sul vino biodinamico.

Poi succede un altro fatto. Nel gruppuscolo intravinico discutiamo un po’, appunto, della sommarietà di quella frase, che però tanto mi affascina, essendo io così attratto dall’abisso di chi la pensa in modo diverso. Va be’, al netto di questi personalismi (ma che diamine, questo è un blog, io personalizzo) arriva Jacopo Cossater ad illuminare quelli dentro al quartierino intravinico, che partecipavano alla riunione di redazione/cazzeggio, con un’osservazione che ci mette tutti d’accordo. Scrive infatti Jacopo:

«L’argomento mi sta abbastanza a cuore ma trovo che il suo dibattito fatichi a trovare una qualunque via d’uscita, e il problema ha a che fare da una parte con i suoi detrattori più feroci e dall’altra con i suoi sostenitori più ciechi (magari produttori di vini di dubbia qualità). La questione che sfugge ai primi, credo, è la fortissima componente spirituale che la biodinamica porta con sé, una sorta di “voglio credere” che – in estrema sintesi – ha più a che fare con un percorso di ricerca interiore che con l’agricoltura in sé. Poi possiamo girarci intorno quanto vogliamo ma biodinamica è quantomeno sinonimo di biologico (se non di più, di biologicissimo), basta fare una passeggiata in qualunque vigneto steineriano per avere la sensazione di trovarsi in un luogo “sano”, qualunque cosa questo termine voglia dire. Tutto questo naturalmente non è necessariamente sinonimo di vino buono, è però altrettanto vero che in genere – generalizzando molto – chi dimostra questo tipo di sensibilità in campagna ne riporta buona parte in cantina traducendo il tutto in un certo non-interventismo spesso virtuoso, capace di portare a vini certamente non banali. Che ci siano produttori biodinamici di eccezionale valore non credo sia cosa da sottolineare, vero però è anche l’opposto, con il risultato di trovarsi di fronte a vini davvero dimenticabili che spesso nascondono più o meno accentuate spigolature dietro alla bandiera del “naturale” a tutti i costi (atteggiamento che personalmente sopporto a fatica)».

Avendo tutti quanti letto il pensiero su riportato, ci guardiamo tra di noi e ci facciamo i complimenti: caspita Jac è bellissimo, qui hai praticamente un post già scritto, pubblichiamolo. E cose così. Tuttavia ci chiediamo anche, tutti, se ha senso. Ha senso davvero riparlarne? Quello che ci blocca, ci stucca e ci annoia, è esattamente l’idea di andare a risvegliare “da una parte i detrattori più feroci e dall’altra i sostenitori più ciechi”.

E mentre siamo lì che ci rimiriamo l’ombelico, proprio il giorno dopo Michele Serra dedica la sua amaca a quell’articolo:

…segue su…

http://www.intravino.com/grande-notizia/il-post-e-lagricoltura-biodinamica-cronaca-di-una-storia-che-non-abbiamo-scritto-salvo-ripensamenti/

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